Giuseppe Miele in arte Joe Eleim anche voce "Schiva" |
Joe
Eleim o meglio conosciuto come Giuseppe Miele, è un ragazzo di Carapelle
trasferitosi a Prato in Toscana all'età di diciotto anni. “Sono nato il 14 giugno dell’83 a Foggia, fino all'età di 15 anni ho
vissuto a Orta Nova, poi sono andato a Carapelle. Ho avuto un’adolescenza
normale e particolare allo stesso tempo, il divorzio dei miei genitori è stato
il motore che ha scatenato in me una certa ribellione.” Sin da piccolo ha
amato la musica, soprattutto la musica rock e metal, insieme alla passione
della musica ha sempre coltivato anche quella dello scrivere. All'inizio Giuseppe era un semplice ragazzo che suonava e cantava nelle cantine di
Carapelle, oggi è un cantante e musicista emergente, ha totalizzato 4 album musicali, più di 30
live nelle piazze d’Italia e da ottobre la sua
musica sbarcherà all'estero La cosa che colpisce di più di Giuseppe e
delle sue opere e che nonostante la lontananza e il rapporto che dice di avere
con il suo paese “amo et odio” è riuscito a non dimenticarsi del dialetto,
delle tradizioni e della semplicità di chi vive in questo territorio. Anche in
alcuni brani questo legame è molto evidente, si rimane sbigottiti di come la
sua è una melodia ricercata e assemblata con destrezza, quasi a far rivivere
quel momento come fosse tuo, questo anche grazie all’uso e alla presenza in
alcuni testi del dialetto carapellese. La sua notorietà poteva farlo esaltare,
invece no, è rimasto umile nei modi di fare e nei modi di essere. Il genere
musicale rock è un genere che ha fatto e fa ancora oggi la storia della musica,
il suo è un Hard Rock, un rock pesante, forte non solo nella musica ma
sopratutto nei testi e nei temi che
tocca, si, perché non si accontenta di sfiorare il giusto, ma mette a nudo la
sua cruda verità.
Domanda: Nasce prima la tua passione per la
musica o prima quella della scrittura o entrambi nello stesso tempo?
Risposta: La mia passione per la musica nasce quando in me
dall’essere loquace mi sentivo sempre più estroverso nei modi di fare e nei
modi di pensare. Il primo ravvicinamento con la musica è stato con i vinili di
mio zio, con i gruppi Pink Floid e Rolling Stones da qui è partita quella
febbre vorace per la musica e per il rock. Ho iniziato a frequentare persone
che suonavano e ricordo che si andava ad ascoltarli nelle cantine tra Carapelle
e Foggi, poi iniziai ad avere il mio giro suonando e cantando anch’io in queste
cantine. Questo per me è stato una valvola di sfogo, attraverso la musica e la
scrittura potevo dire la mia su certi avvenimenti e su alcune situazioni o diatribe
che accadevano nel paese e intorno a me. La passione per la scrittura l’ho
sempre avuta ma non l’ho mai coltivata fino ad oggi, all’inizio ero molto più
interessato alle arti visive, disegni e dipinti. Nella vita ho capito che l’arte
in generale è un bel sistema per esprimere tutta la cattiveria che si ha all’interno senza ferire nessuno, dicendo
quello che provi e che senti. Io mi sentivo appagato quando spruzzavo il mio
veleno e dicevo ciò che volevo, all’inizio infatti i miei scritti erano molto
aggressivi, poi col tempo mi sono addolcito. Ho sempre suddiviso la mia
personalità in due parti o anche in tre,
c’è una parte di me, pacata rilassata, aperta a tutto e a tutti, un’altra più
estroversa e quasi minacciosa, in poche parole non ha mezzi termini, non ha
confini, questa parte delle volte mi ha recato grandi problemi.
D: Con l’arte, con lo scrivere e con la pittura
volevi far emergere la cattiveria che era in te, era davvero cattiveria?
R: Era un anestetico, per i demoni del passato, ognuno di noi il
passato non lo elimina mai, è sempre dentro. Le sofferenze famigliari, le
incomprensioni, alcune situazioni e momenti vissuti durante l’infanzia quando
cresci diventano delle cicatrici, che pian piano si iniziano a chiudere, ma che
ti portano a un bivio e il problema è nella scelta della strada, o svolti dal
lato giusto o da quello sbagliato, ma non puoi soffermati per sempre, devi
svoltare.
D: Per te il rock è un genere musicale, una
religione o un modo di vivere?
R: Per me è un modo di vivere da sempre, ora è diventata una moda. Il
rock è una chiara espressione di quelle persone che dicono, la voce di una realtà
nuda e cruda, senza mezzi termini. Almeno ti parlo di quando ero ragazzino, chi
ascoltava il rock lo viveva anche, oggi è diventata una moda, una moda che ti
porta ad apparire. Sono sempre stato uno che in base al gruppo che ascoltava in
un dato periodo, si informava per
scoprire i retroscena, la vita e i segreti di un cantante o di un gruppo e
insomma ti facevi un idea dei personaggi. Ricordo che si acquistavano delle
riviste “Metalschoc” o “Rock Hard” che ora non pubblicano più, ma oggi con
internet le informazioni sono molto più facili da reperire.
D: Hai avuto un personaggio o un mito che hai
seguito?
R:Io
sono sempre stato per le situazioni ibride, prendere qualcosa da vari
personaggi. I primi periodi che ascoltavo questa musica adoravo il modo
camaleontico di imporsi sul palco di Mick Jagger o il modo estroverso di
apparire di David Bowie, la poesia, i momenti crepuscolari che riuscivano a
creare i Dire Straits, insomma un qualcosa da ognuno di loro, ci si fa un
bagaglio di tutto. Seguire un solo idolo ti porta ad assomigliare sempre più al
tuo idolo e questo non mi è mai piaciuto.
D: Come hai vissuto la lontananza da Carapelle?
R:Per me è stato come distaccarsi dal cordone ombelicale, perché io ho
visto il sud sempre come una madre dove tutto era permesso, tutto era lecito
come descrivo anche in un mio brano e dove tutto va a rilento. A differenza del
nord che è tutto un correre, al sud il tempo scorre in un’altra maniera.
Rimanere fuori dal gregge giù era molto difficile. Il mio rapporto con Carapelle
è di amore e odio, quando devo resettare le idee, devo coordinare le situazioni
da affrontare, anche se sto sempre in giro con amici incontrare gente, c’è una
parte del mio cervello che si rilassa nel vedere le vecchie strade del mio
paese, il sorgere del sole a prima mattina, o la strada che hai fatto per anni
quando andavi a scuola. Qui ogni tanto provo dei sentimenti di nostalgia e
voglia di emergere, una sensazione un po’ strana, che mi da del benessere.
D: Cosa è significato il trasferimento a Prato?
R: All’inizio è stata un po’ dura, tanta gente pensa che trasferirsi è la
soluzione di ogni problema e la realizzazione di ogni sogno, infondo non è
cosi, ci sono voluti anni per me mettere su un gruppo, soprattutto musicale
perché in Italia prediligono le cover band, quindi una copia del tutto o quasi
simile a un personaggio già esistente o famoso. Il mio modo di essere “fuori
dal gregge” mi ha portato a staccarmi e vivere una situazione tutta mia. Ci fu
un periodo che avevo preso come fissa
dimora per scrivere un vecchio casolare sulle colline di Prato, si chiama “La
villa del Barone”, li si vede tutto il panorama di prato con le luci, e
scrivevo tutto ciò che mi frullava per la testa. Tutto ciò che scrivevo ero
sicuro che mi ritornavano utili, infatti tanti demo di oggi sono il frutto di
quello che ho scritto durante la mia adolescenza. Qualsiasi abbozzo scritto
quando poi li inserivamo la musica, calzava a pennello, e questa cosa mi ha
sempre affascinato, qui ho capito che ognuno di noi ha già una strada
prestabilita o che ci sia qualcosa che bene o male ci guida. Abbiamo un destino
già stabilito ma dobbiamo coltivarlo.
D: Come e dove nasce la tua storia discografica?
R: Il primo gruppo nasce a Prato, con il nome “Licantropia” inteso come
malattia patologica mentale, quindi la trasformazione non dall’uomo a bestia,
ma come atteggiamenti da persona pacata e calma a una persona fuori controllo.
Il titolo del Cd era “Espliciti e realtà” con vari brani all’interno: ‘Pugni in
Gabbia’, racconta la mia voglia di esprimersi mentre ero a Carapelle; ‘Silenzio’,
è la descrizione di uno stato d’animo che ho avuto, quando è venuto a mancare
un mio carissimo amico, Alfonso Piteo è questo il brano a cui ci tengo molto e
descrive i perché della vita, dei perché senza domanda! Parla di un saluto, di
un addio e di un silenzio finale; ‘In tutti i miei veleni’, denuncia la
violenza sulle donne che è una cosa a cui ci tengo molto; ‘Estremamente
esplicito’, è un esplosione di enfasi e cruda realtà. La situazione del gruppo
si iniziò a sfaldare giorno per giorno e dopo un anno e mezzo la band si
sciolse. Successivamente nacque un altro un altro gruppo i “Mescal04” ma anche
esso destinato a finire prematuramente. Nel frattempo riesco, in collaborazione
con il fonico, a incidere una demo ‘My coma’ che è la descrizione di chi vive
con l’utopia di essere puliti, ma che poi ha dei grossi scheletri nell’armadio,
questo è il modo di vivere nel mio paese e mi stava stretto, era come vivere in
coma; In ‘SudEst’ parlo di Carapelle, del vento che sfiorava il grano che
sembrava un mare in balia del vento in questa canzone, ho cercato di utilizzare
il modo di vedere di un bambino e il modo di pensare di un adulto. Ho avuto un
esperienza fuori dagli schemi, mettendo da parte il metal e il rock e mi sono
cimentato nel Reggae dove quasi tutte le mie canzoni sono in dialetto carapellese.
Successivamente, nasce il gruppo gli “Schiva”, che subito diventa una famiglia,
qui nel giro di pochi mesi mettiamo su il primo demo e ora stiamo preparando un
album da inviare ad un etichetta che ci ha contattato. Ma non solo, con gli Schiva
facciamo anche dei concerti e per me il palco è un altro pianeta, quando salgo
sul palco mi sento che entro in un’altra dimensione, non so spiegarvi cosa
provo.
D: Chi sono gli Eleim e qual è la loro storia
discografica ?
R: Io vivo due realtà quello degli Schiva e il progetto “Eleim” un duo.
Il progetto “Eleim” da sogno è diventata una piccola realtà. Siamo al 3° album
pubblicato e il 4° sta per uscire, abbiamo una piccola distribuzione dei nostri
cd, ma non solo, a settembre partiranno anche delle date per dei Live. Il
genere musicale degli Eleim è Metal melodico ma un po’ crudo che denuncia la
pazzia umana e quello che c’è di più marcio al mondo. Alcuni pezzi cantati
dagli Eleim sono: ‘La morte degli eroi’, che è un pezzo dedicato ad Edoardo
Costa, l’attore che fece un servizio fotografico per l’UNICEF e poi si mangiò
tutti i ricavati per proprio tornaconto; ‘Hyde’, che parlo dei retroscena di
qualsiasi comune mortale, qui ho preso spunto dal modo di agire di alcuni
paesani, quello del chiacchiericcio e dello sparlare; ‘Nel nome del profano”,
dedicato a S. Giovanni Rotondo, per me è stato sconcertante andare a S. Giovanni
Rotondo e trovare bancarelle, parcheggi a pagamento, negozietti con immagini
sacre di tutti i tipi e colori, pubblicità di ristoranti e pizzerie. In quel
momento ho subito collegato al versetto della bibbia dove Gesù, si reca alla
sinagoga e vedendo tutti i mercati all’interno si arrabbiò perché in un luogo
di culto, nella case del padre vedeva fare mercanzie e sbatte fuori tutti. Per
me è stato rivivere la stessa situazione ma senza Gesù, da questa esperienza
rimasi cosi colpito che scrissi ”Nel nome del profano” e in un versetto dico “Come
in una Babilonia moderna si commercia la profanità artigianale” e nella parte
finale dico “Dio si è velato i suoi occhi con la mano, per non vedere quello
che sta succedendo”; ‘Porci incravattati’, è un pezzo che parlo della
massoneria, questo dell’occulto è un mondo che mi ha sempre affascinato e
attraverso molti libri che ho studiato mi ha fatto capire cosa c’è oltre; ‘Sepolto
vivo’, è un pezzo liberatorio, parla di un periodo particolare della mia vita,
dopo la fine di una relazione sentimentale di sette anni, descrivo il distacco
e l’impressione di soffocare all’interno di una scatola senza via d’uscita; ‘Marchiato
sulla pelle’, per la prima volta affronto il tema dei miei tatuaggi, che sono
l’esperienze e i ricordi che ho vissuto.
D: Cosa significa salire su un palco?
R: Sia gli “Schiva” che gli “Eleim” da quasi tre anni fanno concerti dal
vivo, quest’anno per la prima volta usciamo dall’Italia per un tour in Svizzera,
infatti staremo li ad ottobre per due date il 26 e il 28. I primi Live per me
sono stati un po’ ‘strazianti’, scendendo dal palco c’erano donne da
cinquant’anni a bambine di 13 anni che mi chiedevano di autografare il cd, qui
sono rimasto un po’ destabilizzato, è piacevole come sensazione ma per me era
una cosa stranissima, oppure vedevo sotto al palco persone che cantavano ciò
che io ho scritto, e questo secondo me è la cosa che più appaga, quando noti
che c’è gente che abbraccia la tua causa, il tuo modo di pensare che quello che
tu hai scritto stimola delle sensazioni, appaga e gratifica molto, questa è la
vera ricchezza!
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Complimenti matteo....e' stato come rivivere l'infanzia passo dopo passo...davvero emozionante. Ho rivissuto i momenti che ormai sono impossibili da rivivere con la stessa intensita'. Poi questa e' una storia che mi sta a cuore dato il protagonista....ancora un abbraccio a te ed al mitico JOE...
RispondiEliminaGiuseppe
complimenti davvero Matteo....è stato davvero emozionante come articolo....rivivere le stesse emozioni che insieme abbiamo condiviso da adolescenti, è davvero bello...poi questa è una storia che mi sta davvero a cuore,dato il protagonista!!! Hai saputo cogliere quello che voleva esprimere JOE, cogliendo le emozioni, i dolori e la forza trasformando tutto in una splendida biografia che, mentre leggevo, rivedevo come degli slide di immagini nella mia mente... un abbraccio a te e al mitico ELEIM
RispondiEliminaAMMIRO LA TUA AUDACIA ELEIM.....TI AUGURO IL SUCCESSO CHE TI MERITI......COMPLIMENTI PER L'ARTICOLO MATTEO TRASMETTI L'ANIMO CE LA FAI SENTIRE A PELLE QUESTA STORIA.....AVRAI UNA SPLENDIDA CARRIERA......
RispondiEliminasi complimenti Matteo....si trasmetti le emozioni per ogni storia che scrivi ce la fai vivere........
RispondiEliminaGrande Eleim!.... però caspio Matteo potevi almeno vedere su wikipedia come si scrive pink floyd e rolling stones......
RispondiEliminaƬhіs is realy fascinating, Υou аге ɑn overly skilled blogger.
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